La tecnologia ha compiuto un miracolo: se prima ci volevano 10 giorni uomo per produrre un tavolo ora basta 1 giorno uomo per produrre 10 tavoli. Se a questo aggiungiamo che la globalizzazione ci consente di acquistre un tavolo in qualsiasi angolo del mondo non dobbiamo stupirci che la disoccupazione aumenti e che, in paesi come l’Italia, il PIL diminuisca. Dunque, risulta evidente che non si può combattere la disoccupazione solo cercando un aumento del PIL: necessita trovare una soluzione diversa da quella ricercata dai nostri governi occidentali.
Si stanno affermando nuove teorie che ritengono che il miglior modo per ricercare il benessere e per eliminare il PIL superfluo sia ridurre la centralità del sistema economico, riscoprendo una varietà di attività che possiamo imparare nuovamente, senza doverle “comprare”. Il mantra della crescita del PIL causa l’isolamento dei singoli in quanto li costringe ad avere bisogno di comprare tutto. Così la mamma paga per la babby sitter e l’anziano per avere qualcuno che parli con lui quando basterebbe che l’anziano si divertisse a iocare con i bambini. Si tratta di riscoprire la comunità, che è il modo per ridurre la nostra schiavitù dal sistema di mercato. Non significa abolirlo: non possiamo pretendere che ciascuno trovi un vicino che produca un I-pad, ma ci sono molte attività umane che necessitano di essere riorganizzate. Ad esempio è importante tornare alla autoproduzione magari tornando a farsi l’orto e sostituendo la betulla del proprio giardino condominiale con un albero da frutta. Sarà importante avere meno bisogno di molti servizi come, ad esempio, la manutenzione delle cose che compriamo e l’assistenza verso i propri figli ed i propri parenti malati.
Necessita quindi pensare ad un economia che punti non solo a creare per altri ma anche per la comunità in cui viviamo. Un’economia in cui sia possibile vivere felicemente anche con un PIL che non cresca.