In Italia il 99% delle imprese sono familiari, seguono gli USA con il 96%, la Svezia con il 90%, la Spagna con l’80%, ecc.[1]
In Europa quest’ultime generano circa i due terzi del PIL e dei posti di lavoro mentre negli USA le famiglie controllano un terzo delle imprese comprese nella graduatoria Fortune 500. (a cura di Federico Rossi)
Questo dimostra come l’impresa familiare costituisca il modello operativo più rappresentativo della cultura imprenditoriale nostrana e, direi anche, mondiale. Essa fonda il suo successo sulla genialità, sulla perseveranza, sulla laboriosità e su di un alcune volte esagerato individualismo. L’azienda porta il nome della famiglia ed è un bene da tramandare ai figli: è la fonte del prestigio e della ricchezza di chi la possiede e la governa.
Ma come puo’ essere tutto questo? In effetti esiste una fortissima contraddizione in capo al “padrone” o meglio, al “leader” familiare. Egli è al centro degli affetti familiari e degli interessi aziendali: persegue sicurezza, protezione ed agiatezza nel primo caso e gestisce rischio, competizione e sacrificio nel secondo. Come puo’ essere campione in entrambi questi aspetti così diametralmente opposti?
Ebbene, come è stato correttamente evidenziato da uno studio della “European House Ambrosetti” tutto questo passa per una manciata di drivers e per un solo assunto fondamentale.
Cominciando dall’ultimo bisogna prendere atto che “l’età di un imprenditore o di un’impresa o di qualsiasi altro attore, stackeholder che dir si voglia è sempre piu’ l’età delle sue conoscenze e non quella anagrafica”. Come preparazione non basta piu’ l’addestramento ma ora serve la cultura. Tutto i soggetti che ruotano intorno agli interessi dell’azienda debbono avere almeno la conoscenza delle regole fondamentali dell’impresa. Non si puo’ più dire agli altri: “fai tutto tu che sei bravo!” L’intuito del leader ci sta, ma l’ambiente in cui esso opera deve essere condiviso ed omogeneo per far si che vengano evitate quelle fratture, alcune volte su fatti banali, che possano mettere in serio pericolo la stabilità dell’intera impresa: questo specialmente quando gli attori crescono di numero come dopo il passaggio alle seconde o terze generazioni.
Tornando invece ai drivers, questi si concentrano nei seguenti punti: a) capacità di gestire con equilibrio i tre sistemi interconnessi tra di loro ovvero la famiglia, l’impresa ed il patrimonio/business; b) assoluta distinzione dei ruoli familiari ed aziendali e pieno rispetto degli stessi; c) capacità di attrarre in azienda le migliori risorse presenti sul mercato attivando un comportamento tale da creare un ambiente costruttivo, professionale e soprattutto vincente; d) abilità degli amministratori nel cercare di attorniarsi di persone capaci e professionali aventi un giusto mix di culture, di doti, di coraggio e di tecniche; e) perizia e trasparenza nel trasmettere agli altri componenti la famiglia coinvolti, ai soci ed ai managers gli accadimenti e gli obiettivi dell’impresa; f) governabilità della struttura anche nelle circostanze o nei momenti in cui non ci sia unanimità nelle decisioni; g) necessità di dotarsi di un sistema di metodi e principi oggettivi per il fine tuning del rapporto impresa-famiglia nel corso degli anni al fine di assicurare una necessaria flessibilità allo stesso.
[1] Fonte: IMD
Mi chiamo Federico Rossi ed ho 22 anni.Sono laureato in Business Administration presso l’Università Bocconi di Milano ed ho conseguito un master in Business Management presso la Carlson University di Minneapolis. Dopo qualche esperienza di lavoro nell’ambito dell’impresa, sto frequentando l’ultimo anno di Marketing presso la stessa Università Bocconi e sono stato selezionato per un master in Global Business Management dalla Queen’s University di Kingston – Canada. Dal 2010 sono socio dell’Associazione Italiana Marketing di Milano. Sono appassionato di dinamiche imprenditoriali e scrivo articoli di economia e strategia aziendale.